mercoledì 16 ottobre 2013

Di questi giorni

 

Edward Hopper - Nighthawks
 
E torna l’inquietudine
Che avevo da bambina
Quella tristezza lenta
Che  mi tolgo di dosso
Come una muta d’ore
Lasciate cadere a terra
Vuoto di parole e margini
Di fogli e marciapiedi
Un contenere d’anima
Di grigio asfalto. 
_______
E andare.


 

lunedì 14 ottobre 2013

Poiché abbiamo bisogno di silenzio... Altre considerazioni sulla stanchezza.



Riprendo, dopo alcuni giorni di assenza il discorso sulla stanchezza, quanto mai attuale, con un salto rispetto all'articolo pubblicato sul blog di Filosofi per caso . Questa scelta è motivata da una sensazione di incongruenza che viene a crearsi tra i pensieri e le sensazioni che richiedono un loro tempo di rielaborazione e  le esigenze pressanti del quotidiano. Il ritornello più sentito è “Non abbiamo tempo”.
Sì, non abbiamo tempo, dobbiamo produrre e, sottoposti a questo imperativo, reifichiamo ogni cosa. Anche le parole diventano comportamento e perdono il loro valore di simbolo e, con esso,  la capacità di stabilire legami orizzontali e verticali, ma soprattutto  la virtù creatrice che sta in ogni narrazione del mondo.

Presi nella rete - Persi nella rete.
La frequenza e l’incremento di parole e discorsi sovraccaricano  la rete, sviluppano miliardi di sinapsi e propagano sistemi in cui ognuno di noi si trova irretito, esperendo, al di là della superficiale ebbrezza per la illusoria percezione di  una amplificazione delle possibilità di azione,  una difficoltà crescente di riconoscimento e determinazione della propria identità e del proprio ruolo, che proprio nell’azione acquisiscono riconoscibilità.
Nella rete facciamo esperienza di uno snervamento, un logoramento  che ci intrappola e ci disorienta: siamo per natura sollecitati a rispondere, ma si insinua in noi una percezione di inefficacia, al meglio di blanda inutilità. L’insoddisfazione può condurci alla resa: ad una indifferenza  che ci protegge dalla percezione di essere vani e sostituibili nella pletora di voci che quotidianamente esibiscono le loro verità nella rete. Essa può altresì provocare l’insorgere di un intorpidimento della coscienza, che ci alletta a gratificare la morale con poco sforzo. La stanchezza,  allora, si riflette anche nei linguaggi, si manifesta nella banalizzazione dei termini e  nella ripetitività dei discorsi, e, nel limitato novero di azioni possibili nella rete, si riproduce in atti che diffondono contenuti in maniera meccanica, con la possibilità di sottrarci alla fatica della conoscenza e all’approccio critico.
La capacità di riflettere e di adottare un atteggiamento critico esiste e trova modo di manifestarsi, ma lotta contro la ridondanza di un pensiero mediocre, qualificato da una sorta di inabilità a proseguire oltre la superficie delle cose. La ricerca spasmodica della soddisfazione edonistica  rende  ipertrofica la necessità di soddisfare vari tipi di bisogni al di là di quanto sia naturale ed equilibrato: ci troviamo immersi in pressanti sollecitazioni al cambiamento, che ci lusingano promettendoci soddisfazioni inarrivabili e risultati efficaci di azioni e comportamenti efficienti.  In realtà ciò che si produce sono solo nuove stanchezze, generate per incongruenza con le nostre reali aspirazioni e per la forzatura che consegue all’operare senza aver potuto dedicare tempo alla scelta.
La scelta è, credo,  la chiave che ci può consentire di liberarci di queste nuove stanchezze, che sviliscono la nostra vocazione di esseri  umani chiamati a tendere ad una espressione compiuta del sé.
Se alcune delle stanchezze su cui si sofferma Handke nel suo saggio appaiono desiderabili, è perché esse rappresentano l’approdo di una coscienza creatrice purificata in cui

“… il mondo, in silenzio, assolutamente senza parole, si racconta da sé, a me come al vicino spettatore dai capelli grigi lì, alla splendida donna che passa ancheggiando là; tutto il pacifico accadere era al contempo già racconto… “[1]


 Allegoria del silenzio nel chiostro del monastero di Santa Chiara a Napoli
Poiché abbiamo bisogno di silenzio...  Arvo Pärt - Tabula rasa




[1] Peter Hanke, Saggio sulla stanchezza, Garzanti, 2000, pag. 38

sabato 5 ottobre 2013

Nei primi grigiori d'autunno


La giornata è uggiosa, la mia finestra incornicia un Monte Leano insolitamente verde, gravato da nuvole basse che tentano di scenderne i pendii. La luce attenuata mi permette di distinguere strade di campagna, prati, oliveti, abitazioni, rocce, vigneti…  i particolari che vedo mi  fanno percepire la tangibilità del monte più concretamente del solito.
Giro il mio sguardo agli oggetti di casa e mi rendo conto di quanto siano presenti: la caffettiera sul tavolo, la tazzina ormai vuota, libri, acquerelli, incisioni, foto e minutaglie un po’ troppo stretti sul ripiano del mobile retrostante.
Quasi nessun rumore dalla piazza su cui affacciano le mie finestre, tranne il suono di una campana. E ora dei passeri che trillano. Il piccolo borgo potrebbe essere una descrizione nella pagina di un libro, l’ambientazione scelta da un autore; potrebbe ridursi a linee in bianco e nero nella scenografia di un fumetto.
Esserci e non esserci, vicino e lontano, tangibile e irraggiungibile. Presenze e mancanze. Su uquesto restiamo in equilibrio nei primi grigiori d’autunno.
 
 Vincent Van Gogh - Stanza di Arles


Vincent Van Gogh - Viale dei pioppi in autunno
 
 
Riprenderò nei prossimi giorni a parlare di stanchezze , nuove, brucianti o d'elezione che siano...

giovedì 3 ottobre 2013

Stanchezze brucianti

Con il paragrafo che segue, reso leggibile come estratto, continua il discorso sulla stanchezza avviato con la pubblicazione di Sisifo e proseguito con Sisifo e noi . Come detto, chi volesse leggere per intero il mio scritto lo trova sul blog di filosofi per caso  che ringrazio per la pubblicazione.

Incandescenze e corto circuiti.

[...] Byung-Chul Han, adottando il paradigma neuronale per spiegare le disfunzioni della società odierna, ci definisce La società della stanchezza[1]. Le stanchezze nervose, i corto circuiti mentali ed emotivi, marcano l’odierna condizione umana.
Che il paradigma usato da Byung-Chul Han renda conto di un cambiamento epocale ce ne avvediamo ritornando a leggere Handke. L’autore austriaco esprime il suo biasimo per coloro che procedono eternamente arzilli e per la loro progenie, “… i quali stanno già provvedendo a addestrare a pattuglie d’esplorazione anche i nipoti…”[2] . A costoro manca la stanchezza che accomuna chi condivide le fatiche e i frutti di un lavoro utile, del  lavoro manuale e ben coordinato dei contadini durante la trebbiatura, o delle squadre di carpentieri che costruiscono tetti.
È facile associare gli “inveterati (sic) criminali” agli yuppies  e alle schiere dei loro discepoli, ma gli eccessi a cui si sono, dapprima volontariamente e poi forzosamente, sottoposti hanno cambiato la polarizzazione della loro condizione socio- lavorativa, se non quella della percezione del sé. Situati all’incrocio tra aspirazioni edonistiche e  distorsioni dell’imperativo kantiano, costoro hanno iniziato procedendo solerti e zelanti verso l’incremento della produzione e la loro incandescente soddisfazione, ma hanno finito per andare incontro al corto circuito, che deflagra in un istante le fiamme in cui bruciano le loro facoltà intellettive ed emotive da lungo tempo arroventate. Il rischio è diventare prede di apatie derivate da una stanchezza indicibile, apatie che devono essere taciute pena la stigmatizzazione sociale e l’attacco di altri predatori.

Van Gogh - Il meriggio
Arvo Pärt - Tabula rasa




[1] Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2012
[2] Op. cit. pag. 22